Toponomastica di Gallicchio                      

Comune di Bologna
Istituto di Scuola media 
sezione di Gallicchio
Via Martiri d'Ungheria,3
85010 Gallicchio
tel 0971752083

Classe III G 
anno scolastico 2002/2003

Progetto "Conoscenza e valorizzazione del tuo paese"

Docente di lettere:
Ins. Domenica Vita 

Alunni :
Balzano Filippo 
Balzano Gianluigi
Balzano Luigi
Durante Antonia 
Giordano Alessio
Montano Domenico
Montemurro Gabriele
Natalina Giammarco 
Robilotta Cristian
Sinisgalli Davide
Sinisgalli Giovanni
Sinisgalli Massimiliano 
Vicino Francesco
Vilella  Lucia 

collaboratori:
ins.Francesco Lotito
ins.Francesco Ricciardi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Gallicchio in Web

Via Martiri d'Ungheria

Il nome  Martiri d'Ungheria indica quagli uomini che morirono durante la mancata ribellione ungherese alla dominazione dell'URSS nel 1956. L'URSS reagi' ai ribelli ungheresi con i carri armati e la rivolta fini' nel sangue senza, pero', nessun cambiamento nella vita degli ungheresi.


Il detonatore della rivoluzione, come sempre, fu un evento secondario, casuale. Il 6 ottobre si celebrava la commemorazione di Laszlo Rajk, una delle vittime delle purghe staliniste degli anni 40. la burocrazia sperava che i lavoratori si sarebbero accontentati di questa sorta di funerale riparatore e la cosa sarebbe passata inosservata. Ma al funerale parteciparono 200.000 persone. Alla fine della cerimonia, diverse centinaia di manifestanti cominciarono a marciare verso il centro con bandiere ungheresi e bandiere rosse cantando canzoni rivoluzionarie e urlando “non ci fermeremo, lo stalinismo va distrutto”. Dieci giorni dopo, all’università di Szeged, gli studenti chiesero la fine dell’obbligo di studiare russo e scesero in sciopero. Decisero anche di costruire un’organizzazione studentesca indipendente e inviarono delegati alle altre università per chiedere sostegno. Il fermento tra gli studenti segnalava l’arrivo di una tempesta sociale.  Durante la visita del leader Gero in Iugoslavia, iniziarono una serie di riunioni. Il 22 ottobre, in una riunione durata una giornata intera, gli studenti del Politecnico di Budapest votarono una lista di 16 richieste e convocarono una manifestazione per il giorno dopo in solidarietà con i lavoratori polacchi. Il giorno dopo la manifestazione cominciò in modo disordinato. La gente si riuniva ma non sapeva che fare. Si aveva timore di manifestare, non c’erano strutture di lotta. Ma la comprensibile titubanza degli studenti fu rotta con l’entrata in scesa del proletariato. Tra le richieste degli studenti che attiravano i lavoratori c’era il ritiro dell’esercito sovietico e rivendicazioni sulla produzione, con la fine dello stachanovismo e della repressione nelle fabbriche, ma anche rivendicazioni politiche sulla fine del monopartitismo ed elezioni democratiche. Quando finì il primo turno di lavoro, cominciarono ad affluire in massa gli operai delle fabbriche della capitale.  Il nucleo della ribellione, per numerosità e coscienza, fu, dall’inizio alla fine, Csepel la rossa, l’isola sul Danubio, tradizionale cuore operaio della città. Spesso a muovere le critiche erano proletari iscritti al partito, genuinamente convinti, in queste fasi iniziali, di poter “persuadere” i dirigenti della bontà delle proprie argomentazioni. D’altra parte, alle prime manifestazioni il partito non sapeva come rispondere e temporeggiava le masse non avevano ancora le idee chiare. C’era chi concedeva alla burocrazia il beneficio del dubbio, chi riponeva fiducia in Nagy. Il comportamento della burocrazia chiarì le idee a tutti. Mentre faceva finta di cedere ad alcune richieste, preparava la repressione tramite l’AVH, la polizia segreta. Il 23 ottobre, alla fine di una enorme assemblea organizzata dal circolo Petofi, i partecipanti diedero vita a un corteo non autorizzato con decine di migliaia di persone. Era una nuova rivoluzione d’ottobre.  Davanti al parlamento, la folla, ormai radunatasi a decine di migliaia, forse cento, centocinquanta mila persone, veniva fronteggiata svogliatamente dalle forze dell’ordine. Capendo lo stato d’animo della polizia, i manifestanti presero coraggio. Anziché disperdersi continuarono a radunarsi. A un certo punto, un nutrito gruppo si fece coraggio, si diresse verso la statua di Stalin e iniziò a spingerla. Subito accorsero centinaia di persone. La statua venne rovesciata. Prevaleva un clima d’animo di calma di gioia. Ancora per poco.La statua di Stalin riversa a terra fu il segnale per la controrivoluzione, che era giunto il momento di agire. Una delegazione di operai entrò nel parlamento filtrando tra le file degli uomini dell’AVH (la polizia politica). Di loro non si seppe più nulla. La folla, in attesa del loro ritorno, cominciò a spazientirsi. L’atmosfera di tranquilla gioia venne rotta improvvisamente. Le mitragliatrici dell’AVH cominciarono a sparare dalle finestre e dai tetti; la gente rispose con le armi prese alla polizia, ma fu comunque un massacro.  Si trattò di una delle più infami atrocità della rivoluzione. Il massacro di civili disarmati di fronte al parlamento il 25 ottobre. All’epoca si disse che erano stati i soldati russi. Ma non fu così. I soldati russi di stanza a Budapest non erano affidabili come carnefici della classe operaia. Furono le mitragliatrici della polizia segreta che cominciarono a sparare non appena giunsero nella piazza due tank russi, chiaramente passati dalla parte dei manifestanti, con a bordo diverse persone in festa.   E' subito chiaro che la burocrazia ungherese non ha nessuna speranza di fermare la rivoluzione, essendogli rimaste fedeli a mala pena le sparute squadre di AVO, che peraltro cominciano ad essere catturate e fucilate dai rivoluzionari. Nagy decide di chiamare i carri russi. La rivoluzione procede rapidamente, i soviet di lavoratori e studenti formano un consiglio generale di Csepel e di Budapest in assemblea permanente.  Di fronte alla prospettiva della nascita di un consiglio nazionale dei lavoratori, convocato per l’11 dicembre, il governo Kadar aumentò enormemente la propria attività di repressione. Cominciò con il rendere illegali tutti i consigli operai non di fabbrica. L’11 dicembre arrestò i dirigenti del consiglio operaio centrale di Budapest: il che portò ad uno sciopero generale di 48 ore. Ma la repressione stava avendo la meglio. Lo sciopero non riuscì. I consigli operai vennero sciolti dalla AVH. Scioperi e una resistenza sporadica continuarono per mesi e l’ultimo consiglio operaio venne chiuso solo nell’autunno successivo. Ma la reazione aveva vinto.  Alla fine il governo fucilò almeno 10.000 persone. Altre stime dicono 50.000 (di cui circa 5.000 russi)

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